Desiderio, già duca dell’Etruria, circa l’anno 757, immediato successore al Regno dei Longobardi per la morte di Aistulfo, secondo ciò che riferisce il Sigonio “De Regno Italiane” lib 3° foglio 136, intraprese a fondare più Città e Castelli ed altri a fortificare ed ampliare, tra quali trovandosi il Castello di Orchia, situato in luogo soggetto alle incursioni dei nemici, edificò per i suoi abitanti, in sito più sicuro, altro castello nelle vicinanze di Viterbo, cui diede il nome di Vico Orchiano, oggi denominatoVitorchiano, il quale resta situato sopra un alto e forte messo di peperino inespugnabile da ogni parte in quei tempi di guerre civili, nei quali vi era il solo uso di armi bianche. Ciò resta comprovato da un suo decreto in lettere longobarde scolpite in pietra di marmo, che conservasi nel palazzo dell’Eccellentissimo Magistrato di Viterbo, fatto e pubblicato dal suddetto Re, per discolparsi dalla giusta e ragionevole accusa di Adriano I papa, presso Carlo Magno Re delle Francie, che il medesimo fosse il distruttore dell’Italia; il quale decreto leggesi riportato in carattere sì longobardo che romano dal Mariani nella sua storia “De Etruria Metropoli” alla pag. 143, ove si leggono le seguenti parole: “Revocamus statuta Regis Aistulfi contra Vetulonos edita … Nos enim non sumus Tusciae destructores, ut apud Gallos accusat Adrianus Papa; nam in Tuscia aedificavimus a fundamentis vobis quidem Volturrensis Calvellum, VicumOrchianum, Balneariam, Barbaranum et Gariofilum”. Qual Decreto viene anche riportato dall’Annio nel suo volume Variarum Antiquitatum impresso in Venezia l’anno 1512 alla pag. 25 del libro 2 ove riferisce la traslazione del popolo di Orchia al nuovo castello eretto dai fondamenti dal suddetto Re Desiderio, oggi Vitorchiano.
Nell’anno 776, ad istanza di Adriano I Papa, espulso dall’Italia e privato del regno il suddetto Desiderio per opera di Carlo Magno, nel qual tempo terminò detto Regno dei Longobardi, il medesimo Carlo si portò in Roma e, ricevuto con singolare tenerezza da Papa Adriano nonché dal Popolo Romano, confermò a favor del Pontefice tutto ciò che il Re Pipino, di lui padre, aveva donato a Papa Gregorio III, che sono i luoghi compresi nella Liguria, dalla già distrutta città di Luna fino alle Alpi, come narra il Platina De Vitis Pontificum, in Vita Adriani Papae I. Così pure donò tutti i luoghi e terre edificate dal suddetto Desiderio. Da questo tempo, dunque, la Terra di Vitorchiano restò soggetta al governo dei Romani e dei rispettivi Senatori e, dopo varie vicende, si trova che fosse donata da Pietro di Vico, prefetto di Roma, alla città di Viterbo, la quale donazione venisse poscia confermata nell’anno 1174 dall’Imperatore Federico I, come riferisce il Bussi nella Storia di Viterbo pag. 49; il quale alla pag. 107 prosiegue a dire, che tanto i Romani che i Viterbesi, bramosi di riacquistare la Terra di Vitorchiano (la quale si rese libera) venissero a battaglia, la quale terminasse a favore dei Romani. Poscia i Viterbesi tentarono nell’anno 1232 di fare nuovo acquisto di questa terra, della quale resisi padroni, con l’ingresso in essa nottetempo, la saccheggiarono per ogni parte e la scaricarono tutta dai fondamenti; così il suddetto Bussi alla pag. 122, ove citando il Lanzellotto e Riccardo da s. Germano col. 1018, riporta le di lui parole: “Viterbienses Castrum quoddam, quod Vitorchianum dicitur, quod Romani tenebant, proditorie occupant et evertunt; quibusdam qui evaserant de Castro ipso conferentibus se ad Urbem, aliis Viterbium secedentibus”. I Romani però nel seguente anno 1233, essendosi dati a riedificare la detta Terra, la fecero di gran lunga più speciosa e più forte di quella che era stata per lo passato: tanto riferisce il citato Bussi alla detta pag. 122.
Riedificata in miglior forma la Terra di Vitorchiano, fu questa dal Senato Romano per sue urgenze impegnata, circa l’anno 1262, regnando Papa Urbano IV, al nobil uomo Giovanni Anibaldi Romano per la somma di Libre 741 e mezza, che formano scudi 24000 d’oro; ma ricusando il popolo di star soggetto ad un privato Signore, si ricomprò a proprie spese, mediante lo sborso, che fece al suddetto Anibaldi, tanto della suaccennata somma che di altre Libre 550, sì per il di lui salario pel tempo che amministrò il Senato, che per lo speso nella refezione delle mura castellane, come rilevasi tanto dallo Statuto Locale impresso nel 1614 Lib. I cap. 15 confermato dalli Signori Conservatori; quanto dal Diploma di Enrico figliolo del Re di Castiglia e Senatore di Roma, del 10 dicembre 1267, che conservasi nell’archivio della Comunità; ove narrando prima il suddetto impegno, fatto dal Senato, ed il successivo disimpegno fatto dal Popolo, con le suddette somme del proprio, proibisce alli Conservatori pro tempore, sotto rigorose pene pecuniarie, di più impegnare la suddetta Terra.
Costituitosi il Popolo di Vitorchiano nella sua piena libertà, ritornò spontaneamente alla soggezione del Senato, il quale in ricompensa di atto sì eroico di fedeltà, non solo decorò la Terra con l’onorifico titolo di Fedelissima; ma perché ne restasse perpetua la memoria, nel proprio palazzo del Campidoglio fece scolpire in un marmo il disegno di detto Luogo con l’iscrizione “Vitorchiano fedele al Popolo Romano”, che oggi vedesi collocato nel secondo ripiano della Scala; ed inoltre volle esimerlo da tutte le Gabelle imposte e da imponersi; e per atto di una perpetua gratitudine ritenere al proprio servizio dieci Uomini nativi, cioè un Maestro di Casa e altri nove col titolo di Fedeli, quali riceve ogni anno eletti e nominati dalla Comunità, come riferisce il Ricchi nella sua Regia dei Volsci, Lib. 2 Cap. 16 pag. 365, il qual Privilegio di servire il Senato Romano fu anche confermato con solenne Concordia, stipulata col medesimo Senato, nella Gran Sala del Palazzo Capitolino, fin sotto il 17 dicembre 1520 e successivamente con Breve della S.M. di Gregorio XV dato li 16 febbraio 1623, dal quale tempo fino a questi nostri giorni è stato sempre religiosamente osservato.